Il peccato soppresso, il non detto, quello che soltanto la satira e la commedia hanno potuto sdoganare ogni tanto nei secoli, la lussuria.
La lussuria tra satira e tragedia
Boccaccio se ne prende gioco raccontando della formosa Peronella la quale, all’insaputa del marito e sotto i suoi occhi, fa l’amore dentro un barile assieme all’uomo venuto per comprarlo, o di Masetto, che si finge sordomuto per stare con le monache in convento e spassarsela di nascosto. Ancora prima, Stratone di Sardi, un latino, aveva raccontato in tono beffardo gli amorazzi di Zeus facendolo lamentare dei peli, che rendevano brutti e ruvidi i bei corpi dei giovanotti suoi amanti.
Tornando alla tradizione “seria”, ricordiamo che, secondo la tradizione biblica, appena cacciati dall’Eden, l’uomo e la donna impararono la vergogna e dovettero cominciare a vestirsi per coprire le pudenda, le parti intime.
Certo, proprio la tradizione cristiana, rafforzata anche dal platonismo più bacchettone, ha reso difficile parlare di sesso per la bellezza di due millenni, al punto che fino all’epoca solo dei nostri nonni era normale che i padri decidessero lo sposo delle proprie figlie, che una donna non più vergine prima del matrimonio fosse come minimo umiliata ed emarginata, se non lapidata, che le persone omosessuali fossero “curate” con elettroshock, che masturbarsi fosse considerato un grave peccato e via discorrendo….
A dire il vero, Platone parlava disinvoltamente di amore tra partner dello stesso genere, anche se, a seconda delle fasi, diventava anche molto rigido circa l’inferiorità della donna e le tendenze maligne dei bisogni del corpo; e la Bibbia non nomina mai specificamente l’omosessualità, malgrado sia esplicitamente tradizionalista circa la costituzione della famiglia, ma i secoli successivi hanno inasprito tremendamente la regolamentazione della sessualità, introducendo fra le altre cose anche il voto di castità per i preti.
Ad ogni modo, parliamo di una delle pulsioni, delle spinte vitali in assoluto più potenti, che nascono dall’istinto di conservazione della specie, dalla riproduzione, e poi passano attraverso quella cosa enorme e complessa che è il piacere. Il godimento rende il quadro molto più torbido, spinge in direzioni impreviste e spesso incontrollabili.
Dobbiamo parlare di lussuria senza cadere nel moralismo spicciolo e retrogrado. Un equilibrio difficile. Per cui partiamo dalle sensazioni comuni, dall’esperienza.
Quasi tutti e quasi tutte condividono un’impressione: il sesso occasionale può essere divertente, andare a letto con qualcuno che semplicemente ci eccita e ci attrae, senza conoscerlo e senza volerlo conoscere, alla fin fine non è un problema, non fa male a nessuno, ma è un’esperienza completamente imparagonabile a ‘far l’amore’ con una persona che desideriamo da tempo, di cui conosciamo la vita, i gusti, le ideologie, il carattere, gli interessi, a cui abbiamo confidato importanti nostri segreti e che ce ne ha raccontati a sua volta, che sentiamo ci ascolta e ci capisce come esseri umani profondi e complessi, che sentiamo ci rispetta e ci vuole bene. Quella è un’altra cosa.
Tutti abbiamo provato questa doppia esperienza: l’ormone impazzito per un corpo sfrenatamente sessualizzato, la brama pornografica del sedere così, l’addominale cosà, il seno in quel modo, la bocca in quell’altro etc…e, dall’altra parte, quella cosa più delicata e più bella che, solitamente, va di pari passo con l’amore.
La contrapposizione, infatti, è tra porneia ed eros.
L’antico teologo Evagrio Pontico ci aveva già ammonito: la porneia è trattare il proprio corpo e quello degli altri come una cosa. Tutta l’attrazione è ridotta alla genitalità, con la conseguenza che invece della comunione c’è il possesso. L’altro finisce per essere oggettificato, trasformato da soggetto libero ad un mero bene di consumo.
Pasolini descrive in questo modo la lussuria, anzi, così si autoaccusa:
“E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima.”
Al polo opposto, invece, troviamo quel sentimento sacro di accesso ad una realtà che ci è estranea, che sfugge al nostro controllo – l’Altro. Ci sono paura e desiderio, voglia ma anche cautela, quando a poco a poco ci si schiudono davanti la pelle, la curva dei fianchi, l’odore dei capelli, i muscoli delle gambe…è qualcosa di diverso: il corpo è un tempio, ed entrare in un tempio ci dà timore reverenziale, anelito, speranza, eccitazione e poi di nuovo senso di piccolezza, di venerazione, di umiltà.
Non si tratta puramente del contatto proibito fra le “parti intime” e del loro piacere: tutto il corpo è intimo, anzi, è intimità incarnata, è palpito, è sacro.
La lussuria ha a che fare con la solitudine, con la smania di impossessarsi di qualcosa o qualcuno e di riempirsi di inebrianti sensazioni per paura della voragine che si ha dentro. La lussuria scaturisce da un senso angosciante di vuoto e poi lo alimenta: anziché saziarci ci mette ancora più sete, anziché liberarci ci schiavizza – e nella schiavitù ci fa usare gli altri e il mondo come mezzi, non come fini; la lussuria ci rende schiavi di schiavi.
E non si creda che parliamo solo di sesso! Il turista che spende migliaia di euro per visitare paesi esotici, farsi servire e riverire negli hotel di lusso, scattare foto che dimostrano che è stato lì, che paga fior fior di quattrini per vedere siti e luoghi di cui non gli interessano la storia, la potenza, la soggettività, bensì la collezione, ecco, egli ha la mentalità del colonialista, che oggi usa foto e denaro per possedere il mondo, i dipendenti, i corpi…egli cade nella porneia, nella lussuria, fa oggettificazione. E così chi ordisce una guerra e parla degli uomini e delle donne morti come di “danni” e “conquiste”, chi approfitta della prostituzione, chi sfrutta la carne, magari allevandola unicamente per mangiarla, magari stuprandola in un sottopassaggio. Tutto questo è porneia.
Ci serve un antidoto, un rimedio che spenga in noi questo malsano desiderio di possesso, di sfruttamento – e la verità è che l’unico sarebbe non avere dentro di sé alcun vuoto da colmare, ma questo significherebbe essere persone pienamente felici, una mèta affatto facile. Però cerchiamo di trovare perlomeno una strada, una direzione in cui avviarci.
Qua può tornarci utile Freud, o meglio, un suo concetto in particolare: la cosiddetta “sessualità polimorfamente perversa”. Nome strano, addirittura inquietante, ma in realtà si tratta di una via di bellezza e di sano piacere ancora tutta da esplorare. Freud dice che la conoscono soltanto i bambini – i quali, secondo il linguaggio comune, non dovrebbero proprio avere una sessualità!
Di cosa si tratta, quindi?
Di quell’atteggiamento curioso, esplorativo, che hanno i neonati e i bambini ancora piccolissimi nei confronti degli oggetti e del proprio corpo: godono a sentire come piegano un piedino, a tastare i giocattoli e tutte le cose non solo con le mani, ma col naso, con la bocca, con la pancia, passano ore a muovere le braccina, a sentire il contatto fisico, tattile, e pure l’odore, il colore ed ogni altra sensazione.
Si può dire che godono sensualmente – cioè attraverso i sensi, il corpo nella sua percezione più immediata – del caldo, del solletico, del duro e del morbido, del pollice in bocca e, addirittura, della sensazione di quando fanno la cacca. Può sembrare ridicolo, ma tutto il loro corpo, da cima a fondo, prova piacere nel muoversi e nel toccare: questa è la sessualità polimorfamente perversa, piacevole e curiosa, mai violenta con se stessi né con gli altri.
Freud la chiama “perversa” proprio perché non è limitata ai genitali: nella storia è stato chiamato “perversione”, con sprezzo e orrore, tutto ciò che non era strettamente legato alla riproduzione, senza distinguere tra cose amorevoli e buone ed altre, veramente orribili.
E la chiama “polimorfa” perché assume tante forme, passa attraverso tutti i sensi e tutto il corpo, e si riversa sugli oggetti e sulle persone in un enorme ventaglio di modi: un’idea di “sessualità” che riguarda anche l’abbracciare un amico con sincero affetto, accarezzare un fiore illuminato dall’alba, stare accoccolati al calduccio delle coperte. Poi, certo, anche il sesso come di solito lo intendiamo, ma in questo modo meraviglioso e ricco, lontanissimo dall’aggressività e dall’insaziabilità della lussuria.
Ecco l’unico vero antidoto: non l’amore spirituale di Gesù, un sentimento che purtroppo rimane troppo astratto e universale e perde ogni contatto con la corporeità, né quello intellettuale di Platone, troppo razionale e categorico, ma quello reale, fisico, dei bambini, che amano stare al mondo e amano godere delle cose, senza sfruttarle e senza possederle.
Per certi versi, vivere sessualmente (o sensualmente) tutto ciò che è fisico, e spiritualmente tutto ciò che è sensuale, in un tutt’uno di anima e corpo che né Gesù né Platone avevano capito.
Sacro il corpo, sacro il sentimento, sacra la connessione con l’Altro, da rispettare nella curiosità, da godere nella gioia condivisa dell’incontro.
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Alessandro Scali