Con le sue parole soffici, l'autrice narra due forme della superbia - quella del sole e quella di Icaro -, ma soprattutto racconta la tristezza di essere soli, isolati dalla propria immagine di sé. Per andare più a fondo nel tema, abbiamo pubblicato anche un articolo apposito sulla superbia!
Il sole superbo
Sono nato in un giorno di maggio
per dare un senso alle stagioni
e, sorto su, dal cielo
ho fatto arrossire tulipani.
Mentre la maratona delle dita dell’aria
con il vento pettinava i campi,
ogni fiore fresco appena sbocciato
truccava di rugiada i suoi petali ampi.
E io nei giorni in primavera
bagnavo le corolle di luce,
lì dal palcoscenico
d’un cielo terso senza voce.
Se la sera poi arrivava,
alle sette mi gonfiavo,
piano piano poi arrossivo
e dietro ai colli nella notte sparivo.
Lo chiamano tramonto,
il mio momento di canto
in cui lascio la firma sulle nuvole
e dei miei raggi cospargo le briciole.
E così procede anche un giugno dorato
che mi porta all’estate in cui non ero mai stato:
scoprii il potere di rinsecchire i fiori,
di renderli opachi e con meno colori,
prosciugare le ombre degli alberi
e privare i ruscelli dei loro vigori,
mentre il vento stanco davanti a me si placa
in una corsa dell’aria ora acquietata.
Diventai il mangiatore di ombre
nell’afa di un agosto sfiancato,
in cui si calava nel mare salubre
la gente attonita ormai senza fiato.
E mentre poi Icaro dall’animo sfrontato
di cera liquida aveva la sua schiena alato,
si avvicina intrepido al mio calore…
si accorge che gli fa sudare il cuore.
Fu la sua brama d’abbondanza che lo derise,
perché nello sciogliersi delle ali si sorprese:
le ali di un uomo che volle solleticarmi
lo condannarono alla morte nel dimenticarmi.
Passò però il tempo e venne anche ottobre,
sui tetti delle case un cielo più lugubre.
Mi copre il pianto delle nuvole
nella nostalgia dei miei giorni di favole.
Sembra che il mondo mi ricordi,
sembra quasi che mi rimpianga,
mentre gli alberi nudi senza cadenza piangono
foglie di lacrime d’oro che sul suolo pungono.
E nei mesi a venire vengo e riparto
in un mondo che mi brama come nient’altro
e sogna il mio ritorno con il viso volto
verso un cielo che ora appare coperto di smalto.
Mentre io nell’azzurro nascosto
continuo a brillare così poco esposto,
senza ali di cera mi sostengo in alto
qui dove son nato senza bisogno di alcun salto.
Mi chiedo però se abbia valore
il mio saper illuminare,
senza più nessuno fermo a guardare,
senza più nessuno
che con ali di cera voglia volare.
–
Composizione di Ludovica Ingangi