Scrisse William Blake, il grande poeta inglese, che il bambino è padre dell’uomo.
Il bambino interiore
E Freud riprese questo motto dandogli estensione e scientificità: insegna che la psiche del bimbo, nata libera da costrizioni e castrazioni, nel rapporto di antagonismo coi genitori – che gli impongono severi divieti, mentre lui vorrebbe godere esteticamente della vita, assaggiando tutto ciò che gli fa gola, rotolandosi a terra, svegliandosi e addormentandosi secondo il capriccio del momento – e per via dell’educazione impartita dalla società – buone maniere, catechismo, istruzione etc… – si restringe e si irrigidisce, accettando una lunga serie di compromessi e rinunce che caratterizzeranno il carattere dell’adulto che sarà.
Le esperienze d’infanzia, i modelli affettivi osservati e imitati, le istruzioni ricevute, la formazione a cui si è stati esposti, i traumi subiti, tutto questo fa dell’infanzia il legittimo genitore della vita adulta, che ne eredita i segni e le strutture. Il bambino è padre dell’uomo.
Come un padre vero e proprio, questo bambino non scompare mai del tutto: per quanto possiamo allontanarci da lui, diventare indipendenti o addirittura rinnegarlo, egli continuerà a dettare schemi e desideri a cui non possiamo sottrarci. E perché dovremmo, poi?
Sempre Freud spiega che quelle rigidità imparate per diventare adulti e che mutilano la libertà infantile sono la causa delle nevrosi: i piaceri che diventano proibiti, i sogni infranti, tutto quel che da bambini si poteva e da adulti non più, queste voglie inappagate sono ciò che generano frustrazioni, depressioni e disturbi psichici in generale.
D’altronde, molti atteggiamenti del bambino non sono socialmente accettabili – e a ragion veduta! Come dice Sant’Agostino nel primo libro delle sue Confessioni i bambini sono ingordi ed egoisti: appena vien loro l’uzzolo di un po’ di latte o di un giocattolo cominciano a frignare fragorosamente, a piantare grane pazzesche finché qualche adulto non li accontenta. I bambini pretendono che tutto sia immediatamente servito loro e in questo hanno una certa violenza, una certa arroganza.
Non sanno che gli adulti hanno tante altre cose importanti da fare, oltre che prendersi cura di loro. Anche peggio: non si rendono conto che certe cose “da adulti” – come fare la spesa, lavare i pavimenti, rammendare, cucinare… – in effetti fanno parte del prendersi cura proprio di loro. Un bambino piccolo non capisce che il genitore che lava la casa anziché giocare con lui, in verità, si sta adoperando anche per lui, per la sua igiene, per evitare che si ammali. Non ha idea che andare al lavoro e lasciarlo da solo serve a guadagnare quei soldi con cui poi lo vestirà e lo sfamerà.
Il bambino molto piccolo è schiavo assoluto del piacere immediato, non conosce le fatiche necessarie a soddisfarlo. Esige, gusta e non ringrazia. È sacrosanto che cresca e che impari, che scenda a compromessi con quello che Freud chiamava “principio di realtà”: il mondo non è a nostra disposizione e, spesso, per ottenere grandi comodità e piaceri in futuro, bisogna sobbarcarsi di qualche dispiacere o tedio nel presente. Solo, non bisogna superare un certo limite – e qui si arriva alla critica di Nietzsche del cristianesimo più austero e medievaleggiante: una vita di stenti e privazioni, fioretti, frustate inflitte a se stessi, fame, negazione di ogni vizietto e goduria, sacrificio, abnegazione, per poi essere enormemente premiati in un remoto futuro con la beatitudine celeste, ecco il grande inganno metafisico, secondo il filosofo tedesco.
Dunque…né reprimere e negare ogni crapula e comodità, perché altrimenti la mole di desideri frustrati ci renderà insoddisfatti e nevrotici, né pretendere tutto subito, voler avere ogni sfizio esaudito nell’istante esatto in cui affiora. Come spesso accade, la virtù sta nel mezzo.
Se seguiamo lo schema dell’etica di Aristotele, secondo cui ogni virtù è la via di mezzo tra due vizi opposti, potremmo dire che il bambino piccolo pecca di ingordigia e impazienza, mentre il cristiano autoflagellante di sminuizione e odio per la vita (o per il corpo, che, fino a prova contraria, sono la stessa cosa). Eccesso di piacere ed eccesso di dispiacere, sintetizzeremo.
Detto ciò…sia che si tratti di accontentarlo, perché finora l’abbiamo troppo trascurato, sia che si tratti di dargli una lezione di realismo, perché l’abbiamo viziato anche troppo, in ogni caso ci serve rientrare in contatto con quel padre che ci portiamo dentro, col bambino che siamo stati, e capire cosa vuole. Perché per la maggior parte del tempo ne siamo completamente ignari e lontani, come l’educazione ci ha insegnato.
Come rientrare in contatto con i nostri desideri e i nostri capricci, per conoscerli in anticipo e poter scegliere liberamente (e intelligentemente!) quali assecondare, senza cadere nell’impeto del momento? Può darsi che quando saremo molto tristi e amareggiati ci butteremo a svuotare la dispensa di merendine e dolcetti per tirarci su, può darsi che in un’esplosione di rabbia urleremo “Io…io…io!” perdendo di vista le esigenze e le emozioni di chi abbiamo davanti – per questo dobbiamo fare l’esercizio di connessione col bambino prima, quando siamo sereni e soli con noi stessi, per non esserne schiavi nei momenti di debolezza!
Come incontrarlo? Come conoscerlo?
Un modo, anzi, forse il modo per eccellenza, è quella cosa serissima che si chiama gioco: in particolare, uno dei giochi più completi e ricchi che ci siano – il teatro.
Ma questo è un tema che affronteremo in un prossimo articolo, seguendo il concetto di ‘rifunzionalizzazione’ introdotto da Johan Huizinga.
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Articolo a cura di Alessandro Scali